Cammino di San BenedettoI luoghi

Castel di Tora e il Lago del Turano

Una tappa indimenticabile del mio Cammino da Bologna a Montecassino

Sono 28 giorni che sono in cammino e ieri mi sono fermato a Rocca Sinibalda da Sandra che vive in una casa fuori dal paese. Lei gentilissima mi è venuta a prendere in auto e ieri sera abbiamo cenato insieme nella sua vecchia e dignitosa casa. Con la tappa di oggi, ho lasciato definitivamente La Via di San Francesco e mi sono immerso nel Cammino di San Benedetto.

Sandra ama particolarmente gli animali e così si è circondata di cani e gatti che ha salvato dal randagismo. Ha anche l’orto e un pollaio con galline che le forniscono ottime uova con le quali ieri sera mi ha preparato una gustosa frittata.

Posticciola
Posticciola
Posticciola
Posticciola

Questa mattina, dopo aver accudito ai suoi animali, mi ha accompagnato in macchina in centro a Rocca Sinibalda dove ho ripreso il Cammino per Castel di Tora. Mentre cammino penso a come nel Lazio le accoglienze pellegrine si fanno più di prossimità con le famiglie. Sto scoprendo un aspetto che non avevo provato, quello della vera condivisione familiare. Non si è accolti da volontari, ma dalla famiglia con la quale il più delle volte condividi il pasto e la casa.

Posticciola: Museo diffuso

Posticciola: Museo diffuso

Oggi ho fatto una tappa breve ma che ha offerto panorami spaziosi e una natura meravigliosa. Il sentiero segue a mezza costa il fiume Turano e io cammino verso monte. Arrivo a Posticciola un piccolo borgo ben tenuto e curato. Strade pulite, vasche di fiori che ornano fontane e vicoli. E’ presente un Museo diffuso della Civiltà Contadina e Artigianale: in qualche angolo sono in mostra vecchi attrezzi restaurati dedicati a qualche attività lavorativa del passato. Vicino sono esposte foto che ne documentano l’utilizzo.

Ponte romano e sullo sfondo Posticciola
Lago di Turano con Col di Tora

Proseguo e dopo qualche chilometro attraverso un bel ponte romano a schiena d’asino, lo supero poi mi volto per ammirarlo nella sua interezza e mi si presenta il bel panorama di Posticciola alle mie spalle che sovrasta la valle. Continuo e davanti a me si para l’imponente diga che imprigiona le acque del Lago. Dopo una salita attraverso la strada della diga ed iniziano le prime vedute del Lago, un invaso artificiale realizzato per la produzione di energia elettrica. La stradina segue le anse del lago e mi tornano in mente le parole di Sandra quando, ieri sera, mi diceva che le sponde del lago sono scoscese e non c’è praticamente spiaggia.

Lago del Turano
Castel di Tora

Sull’altra riva, costruita su una lingua di terra che si butta sul lago c’è Colle di Tora. Dopo diversi chilometri, superata l’ennesima ansa del lago davanti a me, sulla collina mi si para Castel di Tora. La meta di questa giornata. Questo borgo medioevale è classificato tra i Borghi più belli del nostro Paese. Mi perdo tra le sue strette stradine assaporandone la pace e la tranquillità che si respira.

Al telefono chiamo Maria, la signora che mi ospiterà quest’oggi a casa sua e con le sue indicazioni trovo facilmente la casa. Dopo poco eccola che mi viene incontro sorridente e mi offre un sacchettino con i suoi biscotti. Mi dirà poi che lei ha un forno in paese e questo è il suo modo di dare il benvenuto ai pellegrini che ospita a casa sua.

La piccola casina del Pellegrino con vista sul lago
Scorcio di Castel di Tora

In realtà dormirò in una minuscola casina con una gran terrazzo che si affaccia sul lago. La casa è piccolina, minuscola ma c’è tutto, proprio tutto: il letto, il bagno, la doccia, un tavolino con bollitore e fornellino elettrico, bustine di di te, camomilla e tisane, zucchero, caffe e uno scaffale con libri, ma soprattutto una meravigliosa vista sul lago.

Maria mi racconta un poco di come vive e del suo lavoro. Poco dopo mi saluta perché ha ancora molte cose da fare prima di sera e mi da appuntamento all’ora di cena. Io mi metto comodo e mi godo il sole sul terrazzo. Cerco nella piccola libreria qualche cosa da leggere. Mi capita tra le mani un libro di poesie e la storia del lago. Così mi metto a leggere: saranno momenti preziosi perché rivivrò quanto accaduto decine di anni prima immaginando davanti a me come doveva essere prima che la diga venisse costruita.

Prima del 1938 il lago ancora non c’era e il paese si sviluppava a valle assieme ai campi coltivati che erano il maggior sostenimento delle famiglie. Anche in quell’anno i campi furono coltivati, seminati, la vite potata e vangata. Poi verso la fine dell’estate la diga di 80 metri fu terminata e in pochi giorni cominciò ad imprigionare le acque del torrente Turano: iniziava a formarsi il lago. Nell’inverno la valle sparì ingoiata dalle acque. Nacque così il Lago del Turano.

Se il bacino idroelettrico si era reso necessario per il progresso industriale, d’altra parte portò via le migliori terre ai contadini costretti a cederle, assieme alle loro case, per poche lire. In quegli ultimi giorni d’estate, mentre l’acqua cominciava a salire, fu fatta l’ultima vendemmia su zattere improvvisate. Anche nel cimitero le bare furono esumate e portate a dorso di mulo nel cimitero più a monte, ma solo quelle dei morti che avevano in vita ancora qualcuno. Le altre furono lasciate ad “annegare”. Per gli abitanti della valle il lago fu una sciagura. Molti emigrarono nella Capitale e nelle città del nord in cerca di lavoro e i paesi si spopolarono.

La salita delle acque determino la sparizione di case coloniche, del cimitero e del borgo di Colle Piccolo che fu ricostruito su di un’altura dando origine a Col di Tora.

Passò un’intera generazione prima che i figli di questa terra ritornassero riscoprendo la nuova economia che il Lago poteva offrire: il Turismo.

Di seguito, nelle righe di questa poesia la drammaticità di quei giorni:

LA Diga

In fondo alla valle, prima dell’abisso, la diga lievita

fra sponde rocciose con muscoli di cemento armato

imprigionando il Turano in una sorte di Babele.

[…] L’ultima uva d’autunno pende dalle vigne

con acini di pianto la raccolgono silenziosi,

senza cantare, con barche di fortuna contadini

di collina coi volti bruciati.

Il grano ieri cera oggi non c’è più mentre l’acqua sale, e sale ancora

gonfiando la terra, spugnando le zolle,

ingoiando i ricordi, affogando le case fino al campanile rimasto a svettare.

Anche i morti annegano mentre, a dorso di mulo,

dal camposanto risalgono le bare, quelle di chi ancora

ha un’anima in paese, gli altri dimenticati con ossa abbandonate.

Colle si faceva sempre più piccolo fino a sparire

laggiù sotto il lago neonato.

I vecchi guardavano smarriti lo specchio d’acqua immobile

posto come una lapide in un fluido sepolcro di memorie cancellate.

Con il futuro monco di una vita passata.